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IV e ultimo giorno di jungo-trekking solitario in Trentino - 18/5/13
19/05/2013

IV  e ultimo giorno di jungo-trekking solitario  in Trentino - 18/5/13

(foto del giorno http://www

Mattina di venerdi a Ziano di Fiemme. I monti intorno fumano di pioggia, i boschi e i prati sono spugne sature. Indugio sulla colazione in compagnia di Giovanni, che mi spiega le sue tecniche orticole. Al solito, si parla anche di burocrazia, che impaluda le attività, più che incoraggiarle. Mi viene in mente che ieri sui giornali locali si leggeva il caso della vecchietta nullatenente che non poteva fruire di una sovvenzione provinciale di povertà perché, avendo un reddito inferiore a 200 euro, veniva equiparata alla categoria “benestanti”. Una logica in effetti c’è: solo la moglie di un facoltoso industriale può permettersi il lusso di vivere con quella cifra. Non dubito che la provincia più ecologica d’Italia saprà “bonificare” la norma.

Piove davvero. Baratto il mio ombrello comune con l’ombrello “pastore” di Giovanni, e adotto la strategia della cipolla per sfidare gli elementi; con un calzone sopra l’altro non si sta poi tanto scomodi, ed è un toccasana per i 9° C. che mi attendono al primo “stango” (piazzuola per jungare) disponibile. Con traffico scarsissimo, i 31 minuti di attesa erano prevedibili. Mi faccio lasciare dal ragazzo (fiemmese con genitori romani) a Tesero per visitare il paese a valle di Stava, il villaggio distrutto negli anni ’80 dalla rottura degli argini dei bacini di decantazione delle soprastanti miniere.

La prima cosa che cattura la mia attenzione è un singolare affresco secentesco “multivisivo”, protetto da un sacello accanto alla chiesa.  Raffigura un Cristo Risorto, senza Sepolcro e senza Gloria, con una insolita gestualità, circondato da decine di oggetti e figure che “galleggiano” nel cielo azzurro (vd foto). Al di la’ di alcune simbologie ovvie (i dadi, la chiave), suppongo l’artista abbia voluto raffigurare la benedizione del lavoro e delle attività umane, di cui si vede un interessante campionario:  il fuso, la balestra, l’aratro, il forcone, la tromba, il battitore del grano. Non ho mai visto una raffigurazione religiosa di questo genere. Come non ho mai trovato un paese, pur di montagna, così ricco di anditi, passaggi e strettoie di collegamento fra una via e l’altra, tutte coperte da piccole volte di pietra intonacata. Adoro questa ‘osmosi’ da abitazione a fienile, da stalla a piazzetta, che mi pare un encomio alla libertà di circolazione. E’ sotto una di queste volte intonacate che il buontempone teserese ha lasciato con pennarello indelebile il suo irrefragabile  giudizio “Viva camillo B. conte di Cavour -  Viva Verdi -  abbasso Pio IX - abbasso Carlo Pisacane” (vd racconto di ieri).

Trovo anche una deliziosa ‘corte’ di fienile: una targa l’accredita vincitrice, una ventina di anni fa, di un premio per la corte più bella. Non a caso sto per fotografare, ma sul più bello arriva il proprietario in “suv”, che in due secondi trasforma la corte più bella in un malinconico posto-auto.

Mi affretto in strada, sempre sotto pioggia battente, perché prima del treno di ritorno voglio proprio calpestare il sentiero Aguai – San Lugano. 13 min. di attesa, e un fiemmese, che è qui per caso perché lavora a Bologna per le tossicodipendenze, mi porta a Cela. Fischiettando mi incammino verso Aguai, in mezzo al bosco; l’allegria ce l’ho dentro da stamattina, forse perché l’ombrello “pastore” da’ compagnia, o forse perché ci ho preso gusto a incontrare cose persone e paesaggi sul ritmo dei miei passi e delle mie jungate. Aguai mi si presenta, sotto la pioggia, come un quadro giapponese. Case, orti, giardini, cappella, tutto è casualmente disposto secondo un sapiente ordine nel prato, racchiuso dalla cortina delle abetaie fumanti. La pioggia alimenta un minuscolo ruscelletto che vagola fra i prati.  Un sentiero mi riceve cordialmente e mi restituisce 2 km dopo alla statale di San Lugano, che mi attende per l’ultima jungata. Qui soffro per 21 minuti umiliato non solo dalla pioggia, ma talvolta dagli schizzi dei camion indifferenti, da cui imparo a difendermi brandendo il mio ombrello come uno scudo. Finalmente accosta una assistente sociale che sta andando al lavoro a Egna, a cui non duole troppo allungarsi  fino alla stazione di Ora. Solo una volta a Rimini mi accorgerò che il mio amico ombrello è rimasto lì, al binario n.2.

Termina qui il racconto della IV giornata di jungo-trekking Trentino

Enrico Gorini

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