Diario del II giorno di jungo-trekking Trentino in solitaria
16/05/2013
Diario del II giorno di jungo-trekking Trentino in solitaria
Arco-Ceniga-Dro-Castel Toblino-Vigolo Baselga-Trento Povo
Ad Arco ci sarebbe da visitare il parco degli ulivi, splendido sentiero che conduce al castello che domina il borgo, ma è già tardi e la strada mi aspetta. La giornata è soleggiata ma c’è un fresco venticello che incoraggia.
Non faccio in tempo ad alzare la card, che un signore locale in furgone accosta. E’ diretto alla mia meta, l’antico borgo di Ceniga, a 4 km, ma poiché si ferma al bar, decido di accomiatarmi per tentare un altro passaggio rapido. Un minuto dopo, sono a bordo di un camion guidato da un giovane marocchino. Il tempo di un “amen”, ed eccomi a Ceniga, localmente noto per il ponte romano che attraversa il Sarca, in posizione splendida. Anche qui, gruppetti di alpinisti pronti a impalmare le splendide placche calcaree che sovrastano il lato nord della valle, e coppie di ciclisti che percorrono questa incredibile ciclabile che, volendo, ti porta da Rovereto a Trento via Valle dei Laghi. L’aria risuona dei fringuelli, che saettano fra gli oliveti a terrazza che impreziosiscono queste plaghe. Dal ponte romano decido di portarmi a Dro seguendo l’antico sentiero di la’ del Sarca, per 2 km. L’orario non aiuta perché il sole è alto e i ciclisti tedeschi fanno la siesta sotto gli olivi. Bellissima l’idea di ragazzi del luogo, che hanno trasformato un pezzo di terrazzamento pietroso, sovrastato da una roccia erratica, in un piccolo grazioso giardino, luogo di convegno culturale: così almeno deduco dalle poltroncine di plastica, i tavoli, e l’insegna scolorita ”L’opinione”. Mi immagino un ambiente di discussione come nei “Cento passi” di Giordana, dove il protagonista Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio), l’ideologo, deve fare i conti con la voglia di musica e divertimento dei compagni. Se fosse qui Peppino, fra questi fiori e sotto questa rupe, la potrebbe ben ripetere quella sua esclamazione meravigliosa: “dalla bellezza scende giù tutto il resto!” Però lui aveva di fronte a se’ l’obbrobrio di un quartiere a crescita incontrollata.
A Dro trovo una cosa mai vista: nella piazza principale, due chiese affiancate, una facciata accanto all’altra (foto). Una, San Sisigno, è di sinistra, e infatti è sconsacrata, l’altra, L’immacolata, è di destra, più recente e in funzione. All’interno mi accoglie una suonata d’organo di grande effetto fra gli stucchi lucenti.
Mi intrufolo nella sede municipale per lasciare un po’ di cartoline jungo, il sindaco, che è anche senatore, proprio non c’è. “E’ vero, ha un doppio incarico, ma sono incarichi politici” mi viene spiegato. Osservo di rimando che anche a Rimini c’era un sindaco-primario di ospedale, che politicamente poteva gestire due funzioni nevralgiche in contemporanea grazie alle grandi doti organizzative, ma che io preferivo un Sindaco a tempo pieno, piegato sui problemi della città, e un primario a tempo pieno, piegato sui pazienti.
Gli abitanti di Dro avversano la sporcizia. Un cartello disseminato fra gli angoli delle stradine, con un cane in primo piano, avverte i possessori di quadrupedi: “LA FA LUI, MA E’ TUA – OGNI LASCIATA E’ PESTATA”. Sotto un antico voltone trovo una pietra su cui è scritto a caratteri cubitali: “VIETATO LORDARE”.
C’è da dire che Dro esiste grazie a una frana: quella che nel medioevo ha rovinato la vicina Ceniga, costringendo gli abitanti a ricostruire il nuovo paese, Dro appunto.
A Dro tardo 50 min. per jungare fino a Castel Toblino, sul lago omonimo, che è come dire Urquart Castle rispetto al lago di Loch Ness. La leggenda narra che il locale peccaminoso Vescovo, avvelenò fratello e nipote, per poi perire nel lago con la sorella, per il rovesciamento della barca su cui viaggiava. La bellezza “deslumbrante” del posto fa dimenticare volentieri l’inverisimiglianza della leggenda. Anche qui approfitto del camminamento lungolago, in un biotopo di grande rilevanza; la gradevolezza della passeggiata risente molto dell’adiacenza della contigua trafficata strada statale. Arrivo così ai Due Laghi, dove il Toblino si sposa al Massenza. Il luogo purtroppo è solo un anonimo gruppo di case e alberghi, da cui mi allontano volentieri, grazie a un albanese, che mi carica dopo 5 minuti. Fa il camionista, stasera sarà a Milano e domani parte per Stoccolma. E’ simpaticissimo, si infervora per jungo, ed è estremamente ligio alle norme perché, come extracomunitario, si sente sotto tiro. La nostra rovina è il coacervo della burocrazia; per dire, ci ha messo 2 anni per riuscire a togliere una parete in cartongesso in casa sua. E in Nord Europa si vive meglio con meno spesa.
Arrivo un po’ stanco a Vigolo Baselga, antico paese con splendida vista su Terlago e la Paganella; di per se’ non offre molto, ma è il punto di partenza per la “via del fieno”, antico sentiero usato per le fienagioni verso il Bondone. Sono dieci chilometri con mille metri di dislivello, per chi volesse vivere sulla propria pelle l’esperienza di vita degli avi che li percorrevano con le scarpe di legno, o forse scalzi.
L’ultima jungata è in concorrenza con una ragazza che attende il bus, è preoccupata perché non sa se sia appena passato. Mi vede partire come un razzo dopo un minuto. Il nuovo accompagnatore è un ingegnere sardo trapiantato da 5 anni a Trento. Ora ha perso il lavoro, sta cercando un lavoro qualsiasi. Secondo lui Trento in questi ultimi anni si è un po’ degradata, prima non si vedeva una cartaccia, e il verde era manutenuto con estrema attenzione.
Il centro di Trento è vivo come al solito, splendidamente abitato da una popolazione che, dopo il lungo inverno, ha certamente voglia di stare all’aperto.
Cena con il vecchio amico Flavio, l’uomo che ha il record delle attività lavorative svolte nella vita, ne ha contate 17; junghista della prima ora, mi ospita presso questo casale con impianto del ‘500, da cui sto scrivendo, avvolto da un manto di nebbia e pioggia che fanno poco sperare per il viaggio di oggi. Stasera devo essere a Predazzo per conferenza. Chiudo e mi metto in strada.
Enrico Gorini